L'arte come pratica di gentilezza

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Il significato di gentilezza è storicamente associato a numerosi tratti dell’intelligenza emotiva ed è considerato una delle virtù capaci di dare senso profondo alla vita se praticata con consapevolezza. Tuttavia, nella cultura contemporanea — fortemente orientata alla competizione, alla performance e all’efficienza — la gentilezza è stata a lungo interpretata come un segno di debolezza, spesso relegata alla sfera femminile e materna, e quindi considerata poco rilevante nei contesti decisionali, organizzativi e di leadership.

Oggi, però, qualcosa sta cambiando. Nei contesti complessi, incerti e interconnessi in cui individui e organizzazioni si trovano ad operare, competenze come collaborazione, intuizione, intelligenza emotiva e gentilezza stanno tornando al centro dell’attenzione come abilità critiche per il futuro. Questa trasformazione è emersa con particolare chiarezza anche durante un keynote speech di Giorgia Madonno, dove la gentilezza è stata esplorata come atto intenzionale e pratica di leadership vulnerabile e consapevole. In quell’occasione, la gentilezza non è apparsa come una qualità accessoria o “morbida”, ma come una forza capace di generare connessione, fiducia e trasformazione (Guarda il video dello speech qui). Questo articolo approfondisce e sviluppa quella stessa intuizione, mettendo in luce come l’arte possa diventare una vera e propria palestra per allenare la gentilezza, intesa non come semplice cortesia, ma come competenza profonda e trasformativa.

L’evoluzione del concetto di gentilezza

Nel senso comune, il termine gentilezza richiama concetti come generosità, benevolenza, altruismo, compassione, solidarietà, tenerezza, bontà d’animo. Tutti questi elementi appartengono alla sfera dell’intelligenza emotiva e della capacità di entrare in relazione con l’altro in modo autentico.

Nel corso della storia del pensiero filosofico, la gentilezza è stata oggetto di dibattito. "I filosofi antichi si dividevano quando si chiedevano se gli uomini fossero naturalmente buoni o invece egoisti” [1] . Questa tensione ha attraversato i secoli, accompagnando l’evoluzione delle società e dei modelli culturali. Nel tempo, la gentilezza è stata progressivamente “femminilizzata”, soprattutto nella sua accezione di cura e sollecitudine, perdendo valore nei contesti pubblici, politici e organizzativi.

Studi più recenti confermano intuizioni già presenti nel pensiero stoico: la pratica della gentilezza e della generosità non solo contribuisce al benessere collettivo, ma è anche una condizione essenziale per una vita pienamente vissuta. Tuttavia, la cultura dominante ha spesso associato la gentilezza a vulnerabilità, arrendevolezza e perdita di potere, mentre aggressività e competizione — archetipicamente associate al maschile e alla guerra — sono state valorizzate come simboli di forza, successo e leadership.

Alla luce delle trasformazioni in atto, diventa legittimo chiedersi se questo paradigma sia ancora funzionale, sostenibile ed eticamente desiderabile.

Perché la gentilezza è una competenza chiave nella complessità

Viviamo in un mondo caratterizzato da incertezza, ambiguità e interdipendenza. In questo scenario, approcci esclusivamente razionali, lineari e basati sull’efficienza non sono più sufficienti. Per affrontare la complessità è necessario integrare pensiero analitico e pensiero intuitivo, emisfero sinistro ed emisfero destro, logica ed emozione.

La gentilezza, intesa come espressione dell’intelligenza emotiva, assume quindi un valore strategico. Essa implica capacità di ascolto, empatia, apertura, dialogo autentico e disponibilità alla vulnerabilità. Come sottolineato da Brené Brown nel celebre TED Talk The Power of Vulnerability, la vulnerabilità non è una debolezza, ma la base della connessione umana, dell’autenticità e della fiducia. Senza queste dimensioni, diventa impossibile co-creare soluzioni efficaci ai problemi complessi.

Inoltre, l’evoluzione tecnologica e l’avvento dell’intelligenza artificiale stanno spostando sempre più il valore umano verso competenze relazionali, creative e interpersonali. Nelle organizzazioni emergono concetti come scopo, identità, esperienza, integrità, spirito. In questo contesto, la gentilezza non è un accessorio etico, ma una leva fondamentale di efficacia, innovazione e sostenibilità.

L’arte come palestra per allenare la gentilezza

L’arte può svolgere un ruolo centrale nello sviluppo della gentilezza. Le pratiche artistiche stimolano prevalentemente l’emisfero destro del cervello, legato a emozioni, intuizione, empatia, visione, sensibilità e pensiero non lineare. Sono le stesse competenze richieste oggi per navigare la complessità.

Le arti modellano ed esprimono l’esperienza emotiva umana, rendendo visibili sentimenti, tensioni, conflitti, desideri e trasformazioni. Attraverso l’arte, le persone imparano a entrare in contatto con il proprio mondo interiore e con quello degli altri, sviluppando sensibilità, capacità di ascolto e rispetto dei diversi punti di vista.

L’arte utilizza un linguaggio metaforico e simbolico. Questo implica che il significato non è mai univoco: ogni osservatore è chiamato a contribuire con la propria interpretazione. Si crea così uno spazio di dialogo, di co-costruzione del senso, in cui nessuna prospettiva prevale sulle altre. Questo processo educa naturalmente alla gentilezza, intesa come sospensione del giudizio e riconoscimento della legittimità dell’altro.

Molte opere d’arte, inoltre, sfidano il pensiero dominante e invitano a guardare oltre l’evidente. Gli artisti, grazie alla loro sensibilità, sono spesso in grado di cogliere segnali deboli e anticipare cambiamenti sociali e culturali. Da loro si può apprendere il coraggio di mettere in discussione convinzioni radicate — come l’idea che la gentilezza sia una debolezza — e di integrare polarità apparentemente opposte, come forza e cura, maschile e femminile, efficienza ed empatia.

Arte, osservazione e pensiero sistemico

L’arte educa anche al pensiero sistemico. Un’opera non può essere compresa isolando un singolo elemento: forma, colore, composizione e significato sono interdipendenti. Allo stesso modo, nei sistemi complessi — sociali, organizzativi, economici — le parti hanno senso solo in relazione al tutto.

La pratica artistica sviluppa inoltre una capacità di osservazione profonda. Non si tratta di vedere ciò che si pensa di vedere, ma di osservare la realtà per ciò che è, sospendendo automatismi e pregiudizi. Questo tipo di sguardo, curioso e non giudicante, è alla base della gentilezza e dell’empatia.

Attraverso l’arte si impara che ogni punto di vista è solo uno dei possibili punti di vista, non il punto di vista. Questa consapevolezza apre alla pluralità, al dialogo e alla comprensione reciproca.

Il valore dell’arte per le organizzazioni

Tutto questo ha un impatto diretto anche sulle organizzazioni. In contesti complessi e interconnessi, i modelli organizzativi emergenti — come le Teal Organizations [2] o le purpose-driven companies — si fondano su autenticità, scopo, responsabilità condivisa, autonomia e collaborazione. In questi sistemi, la gentilezza diventa una forza organizzativa, mentre l’aggressività e la competizione esasperata si rivelano sempre più disfunzionali.

L’arte, utilizzata come strumento di sviluppo, può aiutare persone e organizzazioni ad allenare competenze fondamentali per questo nuovo paradigma: empatia, ascolto, dialogo, pensiero sistemico, capacità di stare nell’incertezza e di integrare polarità. In questo senso, l’arte non è un ornamento culturale, ma una leva di trasformazione profonda.

Imparare la gentilezza significa imparare a navigare il nostro tempo. Significa rispondere ai bisogni emergenti della società, delle organizzazioni e degli individui alla ricerca di senso, connessione e completezza. L’arte, come la gentilezza, possiede un potere trasformativo sottile ma radicale — un potere di cui il mondo contemporaneo ha sempre più bisogno.

Riferimenti e approfondimenti